Passione distillati

Distillati quindi ma anche bere miscelato, con cocktails di alta qualità e innovativi.

Uno speciale sui distillati in cui, senza la presunzione di affrontare tutto lo scibile sui distillati, si vuole far conoscere origini, storia, evoluzioni, successi, tendenze, di quello che è evidentemente un trend in crescita.

Basta leggere i dati riportati da numerosi istituti di ricerca c’è il rischio che dietro una parola anglosassone ci sia un po’ di per capire che gli spirits stanno sempre più conquistando confusione.

Nessuno vuole trovare in un articolo giornalistico la il mondo dei consumatori, in media è valutata nel nostro “lezioncina”, né questo è il nostro intendimento, ma est modus

Paese una crescita intorno al 25% entro il 2025. E qui vorrei chiarire subito qualche aspetto sull’etimologia delle parole. Troppe volte sento dire spirits per indicare genericamente liquori, distillati, amari, insomma tutto ciò che è alcolico e superalcolico… in rebus e precisare è sempre utile!

I distillati non sono liquori, né i liquori sono amari. Bevande alcoliche certamente ma mentre i liquori sono miscele di alcol etilico con zucchero, aromi, erbe, fiori, frutta, radici, ecc. e non necessitano di tecnologie particolari o di invecchiamento prolungato, i distillati sono ottenuti dalla estrazione dell’alcol da materie prime di origine vegetale fermentate.

   

Tutte le sostanze vegetali, cereali, canna da zucchero, tuberi, bacche di ginepro, vino e vinacce d’uva, frutta, radici commestibili, con un buon contenuto zuccherino, possono essere fermentate dai lieviti e trasformate in liquidi alcolici; la distillazione permette la parziale separazione dell’alcol dall’acqua dando luogo a una bevanda con una gradazione superiore.

Durante il processo di evaporazione, l’alcol trascina con sé una serie di sostanze che daranno al prodotto le caratteristiche peculiari di sapore, odore e colore tipiche della base di partenza.

Distinguiamo anche tra liquori e amari, per compiutezza di informazione.

Come dice la parola è la quantità di zucchero che differenzia le due bevande, un amaro per sua natura è un liquore dal sapore amarognolo.

C’è un’altra differenza che è interessante sottolineare, soprattutto in questo periodo in cui il consumatore è alla ricerca non solo di qualità e innovazione ma anche di appartenenza di un prodotto al proprio territorio.

I liquori, che godono dell’aggiunta di aromi normalmente reperibili in determinate zone geografiche, sono più espressione di un territorio rispetto all’internazionalizzazione dei distillati che, per il residuo aromatico e la prevalenza decisa del sapore dell’alcol, sono ad oggi prodotti in ogni parte del mondo… e questa è anche la loro “forza di espansione”.

Per non entrare nel merito della produzione delle bevande alcoliche – per i liquori è la macerazione/infusione o distillazione di un infuso alcolico – ci limitiamo a precisare che per i distillati la distillazione in alambicchi di sostanze vegetali fermentate e che l’alambicco può essere sia continuo che discontinuo.

Ma perché si chiama alambicco? Dal greco ambix, vaso, termine poi divenuto in arabo alambiq, cioè vaso per distillare… un omaggio ai popoli che hanno diffuso la distillazione.

Qual è la differenza tra i due tipi di alambicco? lo dice la parola stessa: il primo permette di distillare senza interruzione la “materia prima” che, introdotta dall’alto nella prima colonna dell’alambicco (composto da due colonne), subisce la prima distillazione il cui prodotto, incontrandosi con correnti calde provenienti dal basso, entra per una seconda distillazione nell’altra colonna, detta rettificatore, in cui piatti ad altezze e temperature diverse fanno si che le teste e le code si separino dal cuore, la parte buona del distillato.

L’alambicco discontinuo compie una distillazione alla volta e la caldaia dev’essere scaricata e caricata ad ogni processo. Con l’alambicco discontinuo la mano dell’uomo è fondamentale, non a caso è quello generalmente più utilizzato da distillerie la cui lavorazione segue criteri artigianali.

PILLOLA DI STORIA

Bisogna risalire all’epoca degli antichi Egizi per ritrovare le prime forme di distillazione, furono poi i Greci ad usarla per desalinizzare l’acqua di mare ma si deve agli Arabi la maggior diffusione di questa arte che in Occidente si affermò, sul finire dell’Alto Medioevo, grazie alla Scuola Medica Salernitana.

È a lei che molti studiosi attribuiscono la nascita del gin, o meglio, proto-gin, in cui l’alcol base era distillato con bacche di ginepro allo scopo di creare un farmaco che sfruttasse le proprietà medicamentose della pianta.

IL MERCATO ATTUALE

Nel corso degli anni i distillati hanno vissuto alti e bassi, basti pensare al tempo del boom economico italiano, erano gli anni ’60 e di moda era bere whisky.

Nei locali si ordinava un “baby”: era scotch whisky, solo dopo gli italiani hanno conosciuto i tanti stili di questo distillato e ad oggi, dopo un periodo di offuscamento, c’è un bel ritorno al consumo di whisky di nicchia.

Dagli anni ’70 in poi, si fa strada nel nostro Paese un consumo di qualità a scapito della quantità; la ricerca del gusto, la sicurezza del prodotto, la selezione dei brand entrano di forza nella nostra cultura.

È quanto del resto si verifica in tutti i campi del food&beverage: il consumatore è più informato, più selettivo e anche disposto a spendere di più “se ne vale la pena”.

                 

Tornando alle abitudini diffuse nel Bel Paese, la grappa l’ha fatta da padrona per anni, nelle osterie e nei bar di quartiere era la bevanda alcolica maschile per eccellenza, anche di uomini di età; oggi anche la grappa sta vivendo una nuova vita e, come avviene per molte bevande alcoliche, elemento trainante è il pubblico femminile che punta a grappe morbide, amabili, rotonde.

E infine, senza nulla togliere a tutti gli altri distillati di cui avremo modo di parlare e di approfondire, soffermiamoci sul fenomeno del gin, successo degli ultimi anni che non accenna a calare in questo 2022.

Perché il gin piace così tanto?

La risposta, a furor di popolo degli addetti ai lavori, è che si tratta di un distillato “giovane” (quando si dice l’eterna giovinezza!), oggi declinato in ricette particolari, uniche, sintesi di passione e conoscenza delle botaniche dei produttori.

Molti sono artigiani che sanno proporre il proprio gin come “diverso”, autentica produzione di nicchia.

E poi il gin è versatile, pensiamo all’uso in miscelazione, piace alle donne per i suoi profumi, sa raccontare la storia del suo territorio… tutte caratteristiche che affascinano i consumatori.

Da quanto detto finora è evidente il ritorno dei distillati nella vita sociale degli italiani, anzi, facciamo un po’ di sociologia “spicciola”: i distillati facilitano le relazioni sociali, favorisco- no la comunicazione e la condivisione di esperienze, non solo, danno il senso di appartenenza del singolo ad un gruppo… quindi danno sicurezza, e non ultimo dato che l’alcol disinibisce, danno allegria e buon umore… non è poco di questi tempi! Inutile dire: con moderazione.

 

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