Quel fenomeno del Gin

Il gin: un distillato che per la sua spiccata versatilità sta spopolando nei locali di tutto il mondo, Italia compresa, dove i consumi crescono a rotta di collo!

Credo che se chiedessimo agli italiani dove è nato il gin, la maggioranza risponderebbe, sbagliando, in Inghilterra.
In realtà la storia attribuisce a Franciscus de Bouve, detto Sylvius, medico e professore nell’Università di Leiden, in Olanda, la prima ricetta del gin “moderno”. Inglese? sembra di no. Olandese? Forse.
E se fosse di origine italiana? Sono tanti gli elementi che avvallano questa teoria che ci riporta al Basso Medioevo, per la precisione al 1055 quando, nel Compendium Salernitanum (manoscritto prodotto dalla Scuola Medica Salernitana) si parla di un distillato di vino infuso con le bacche di ginepro.
Tutto il Medioevo ha visto medici e monaci studiare erbe e spezie per creare rimedi alle malattie.
alambicco distribuito da Dr. Richter, modello Kalif, in rame e con serbatoio da 50cl

Il gin, che certo allora non aveva questo nome, era un distillato a base di ginepro a cui erano attribuite proprietà medicamentose, sicuramente era considerato un tonico energizzante, un rimedio ai disturbi di digestione, crampi allo stomaco compresi, e benefico per i reni affaticati.

Si aveva anche l’illusione che potesse curare l’impossibile, certo un ubriaco sentiva meno il dolore.
Un’idea sulle sue virtù ce la trasmettono le parole di un medico aragonese del 1200: prolunga lo stato di buona salute, disperde gli umori superflui, rianima il cuore e mantiene giovani… magari!
Nasce in Italia, forse, certo nel mondo si diffonde grazie al potere dell’impero britannico che lo scopre a causa di una guerra di religione in Olanda.
I soldati inglesi, andati in soccorso delle popolazioni locali contro gli spagnoli, trovavano il coraggio bevendo il distillato a base di ginepro e sia loro che i fuggitivi dall’Olanda riportarono questa abitudine in patria dove il distillato fu chiamato dutch courage, coraggio olandese.
Il distillato a base di bacche di ginepro ha avuto nel tempo molti nomi, aqua juniperi, poi jenevier… il passo per abbreviarlo in gin fu breve.
Si affermò in Inghilterra tanto da creare, nel giro di due secoli, gravi problemi di alcolismo nelle classi più povere, al punto che fu emanato il Gin Act’s che tassava la distillazione… con esiti scarsissimi: si distillava clandestinamente nella vasca da bagno, era il bathtub gin.
Con l’800 inizia l’era dei cocktails, parola usata per la prima volta nel 1806 su una rivista, si afferma la mixology, il gin diventa ingrediente base di numerosi cocktails e drinks, un protagonista grazie alla sua trasparenza ed agli innumerevoli profumi dati dai botanicals utilizzati in distillazione.

È proprio il mix di erbe e spezie, unito ad una prevalenza di bacche di ginepro, a conferire profumo, gusto e sapore diversi tra un gin e l’altro.

I botanicals più utilizzati sono i semi di coriandolo con le loro note speziate, le radici di angelica con note di legno e muschio, l’iris germanica che dona sensazioni di viola e foglie, le scorze di agrumi ma le varianti sono tantissime, dalla cannella alla liquirizia, dalla noce moscata al cardamomo fino al pepe di Giava.
Tutti i gin, qualunque siano i botanicals utilizzati direttamente nel fermento di cereali, devono avere una concentrazione alcolica al 96%, non essere sottoposti a doppia fermentazione ma dar vita, in unica fase, ad un gin di almeno 37,5% vol.
Oltre al classico, appena definito, esiste il gin distillato che, prima dell’imbottigliamento, può essere diluito con acqua oppure miscelato con altro alcol fermentato rettificato.
C’è poi il London gin, uguale al gin distillato ma a cui non si possono aggiungere aromi, l’Old Tom gin, una versione dolce del London dry gin, ottenuto con uno sciroppo al glucosio.
E poi ci sono gli spiriti aromatizzati al ginepro, imbottigliati con un rapporto alcol/volume del 30%, ed lo sloe gin, infuso in prugne selvatiche, con una gradazione intorno ai 28%.
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