Intervista a Vittorio Lombardini, General Manager di San Geminiano Italia

Alla scoperta del gruppo San Geminiano con Vittorio Lombardini.

115 aziende, 180 magazzini in esercizio, quasi 1000 automezzi, oltre 450 agenti di vendita, più di 80.000 clienti serviti e oltre 1700 referenze: sono i principali numeri di San Geminiano, storico gruppo di distribuzione bevande, fondato a Modena negli anni ’70 da imprenditori e grossisti del settore.

Al grande pubblico è noto in particolare per marchi come l’Acqua Alisea e i succhi di frutta Movida e Juice Mambo; ma l’attività copre tutto il panorama del beverage, dai vini ai liquori, alle birre, al tè freddo, spaziando finanche in prodotti alimentari per il catering.

Ancora oggi si pone come realtà del tutto peculiare all’interno del comparto, sotto diversi punti di vista: ne parliamo con il general manager, Vittorio Lombardini.

Come definirebbe, con sue parole, il gruppo San Geminiano?

È una storica realtà italiana di distribuzione HoReCa, nata negli anni in cui l’associazionismo ha preso piede. Si tratta infatti di un’associazione di liberi imprenditori, che hanno scelto di riunirsi per meglio portare le loro istanze – e siamo stati i primi – e avere maggior forza contrattuale.

La sua caratteristica principale è che i fondatori hanno pensato a creare non solo un’unione volontaria, ma anche un’azienda a servizio del consorzio: è così infatti che organizziamo logistica, magazzini e distribuzione.

E questo ci permette di gestire tanti e importanti prodotti a marchio, altra nota distintiva di San Geminiano, nel nostro magazzino dedicato di 5000 mq in cui transitano 1300 codici.

Il dualismo tra i nostri prodotti esclusivi a marchio e l’agire come centro d’acquisto per prodotti di aziende terze, verso le quali abbiamo collettivamente maggior forza contrattuale, è quindi ciò che ci distingue strategicamente e la principale ragione per aderire al consorzio.

Penso in particolare alle realtà più piccole, che non hanno numeri tali da poter gestire autonomamente la logistica nei confronti di aziende terze; possibilità che rimane comunque aperta per chi invece è sufficientemente grande per farlo.

Che ruolo riveste il comparto birra all’interno di San Geminiano?

Sicuramente un ruolo centrale, basti dire che costituisce il 35% del fatturato di magazzino – che ammonta nell’insieme a 33 milioni di euro – e il 43% del volume movimentato.

I fusti fanno la parte del leone, e per i prodotti a marchio sono tutti di nostra proprietà – altra caratteristica distintiva. Abbiamo recentemente introdotto, per la gamma di birre italiane, l’Italica Rossa prodotta per noi da Menabrea: una birra – appunto – rossa di otto gradi distribuita in bottiglie da 0,33, che affianca l’Italica 5.0 – distribuita anche in fusto.

Per il 2022 ci siamo quindi focalizzati, oltre che sul completare l’inserimento delle nuove birre inglesi a marchio Camerons partito ancora ai tempi del lockdown, sule birre italiane: un percorso che proseguirà con l’arrivo, a fine anno, dell’Italica Rossa in fusto.

Per il 2023, invece, l’obiettivo è rivedere l’offerta delle birre belghe.

Non bisogna infine dimenticare, sempre parlando in particolare di birra, che già da tre anni siamo collegati con il consorzio toscano A.D.A.T.: abbiamo insieme costituito un consorzio di primo livello, Helios, per migliorare ulteriormente il nostro potere contrattuale verso l’industria – non solo birraria naturalmente, ma cito qui questo comparto nello specifico.

I contratti hanno così potuto crescere in termini di profondità anche nei confronti dei grandi nomi del settore, penso ad esempio a Heineken e Carlsberg.

Gli ultimi due anni sono stati segnati dal Covid e dalle relative chiusure: che cosa ha significato far parte di San Geminiano in frangenti come questi?

Sicuramente l’unione ha fatto la forza, perché i nostri associati hanno avuto la possibilità di trovare disponibili i nostri prodotti a marchio anche in un regime di volumi ridotti.

Più in generale, abbiamo fatto molta attenzione a gestire in modo accorto le scorte sia in fase di chiusura, così da evitare problemi come prodotti scaduti in magazzino, che in fase di ripartenza, quando viceversa molte realtà si sono trovate a corto di birra.

E questo fondamentalmente grazie alle nostre buone relazioni con le birrerie.

E ora che prospettive vede? Siamo davvero ripartiti? E se sì, che rischi pongono i rincari delle materie prime e più in generale un’inflazione molto sostenuta?

Sono sempre molto ottimista; e, dopo aver visto un comparto che ha resistito in maniera eroica nel 2020, e in maniera stoica nel 2021, vedo ora le prospettive per un’estate 2022 molto positiva.

C’è stata una ripartenza robusta e una forte domanda da parte dei soci sin dalla primavera, la filiera non sta ripartendo da zero, e siamo ormai vicini ai valori del 2019.

Chiaro che a settembre sarà da fare i conti con la disponibilità di spesa, che fisiologicamente tende a calare dopo l’estate.

Per quanto riguarda poi i rincari, sicuramente li vediamo sui costi del vetro e dell’alluminio, fondamentali nel settore delle bevande: e infatti l’industria ha rivisto i listini a rialzo in maniera pressoché indifferenziata – in particolare per quanto riguarda il vino, in cui siamo già alla seconda richiesta di aumenti.

Diverso è per i prodotti a marchio, dove siamo riusciti a contenere i rincari entro valori ragionevoli: anche qui, una volta di più, il “dualismo” a cui accennavo prima tra prodotti a marchio e quelli di aziende terze si è rivelato strategicamente vincente.

di Chiara Andreola

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