Cittavecchia Birra Artigiana Trieste

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Tra le tante storie di birra ce n’è una in cui si intrecciano la vita di un uomo e quella di una città.

La storia del Birrificio Cittavecchia è infatti quella di Michele Barro che fin da ragazzo coltiva la passione per la birra e che negli anni ’90 si trasferisce da Milano a Trieste. Qui sfrutta la sua creatività artistica per occuparsi di malti, luppoli e lieviti e recupera l’artigianalità dimenticata dell’arte birraria impegnandosi, con laborioso e meticoloso studio, per trasformare un processo che fino ad allora era appannaggio di grandi birrifici industriali in un metodo “manuale”. Allo stesso tempo vive l’aria di una città, Trieste appunto, crocevia di genti e culture diverse, in cui la joie de vivre e l’aria mitteleuropea hanno saputo amalgamarsi in modo unico.
Michele Barro, designer e artista, da homebrewer appassionato diventa attento mastro birraio, pioniere assieme a pochi in Italia della “sperimentazione” e della rinascita della birra viva, fatta “come una volta”. È nel 1999 che l’idea di Michele si trasforma in Cittavecchia, un nome che racconta la storia del quartiere, nel cuore di Trieste, dove si respira l’aria mitteleuropea e dove soffia forte il vento di bora.
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Per avere logistica e spazi migliori, il birrificio ha trovato sede a Sgonico, sobborgo di Trieste a ridosso del Carso e vicino alla stupenda Grotta Gigante. Gli anni del fermento birrario sono quelli della ricerca di materie prime allora introvabili per i piccoli brassatori, anni in cui la tecnologia ancora non supporta al meglio le esigenze di produzione in piccola scala. Ma Michele, pacato e tenace, con energica determinazione accetta la sfida. Ed è così che nascono nel 1999 la Chiara e la Rossa, due birre a bassa fermentazione, e negli anni a seguire, Weizen, Formidable, Karnera e Lipa, birre ad alta fermentazione dove l’interpretazione dello stile di appartenenza va a braccetto con quell’elegante essenzialità che solo i prodotti esclusivi, nati da sapienti mani e materie prime ricercate, sanno esprimere.
Michele strizza ancora l’occhiolino alla sua vena artistica nel 2010, quando per Unionbirrai disegna quella che oggi è il simbolo riconosciuto da tutto il mondo birrario italiano, la bottiglia della birra artigianale italiana, ancor oggi adottata da Cittavecchia e da un’ottantina di altri birrifici in Italia.
Diventata nel tempo La Birra di Trieste, Cittavecchia ha saputo mantenere inalterata per quasi vent’anni la sua artigianalità vintage, quasi a creare birre “cucite su misura” per il mercato cittadino, rassicurato da una proposta sempre fedele a sé stessa. Da subito ha saputo conquistare la città e il cliente attento e appassionato, fino ad arrivare al 2016, quando il pacato e creativo entusiasmo di Michele Barro, si è arricchito di quello altrettanto sobrio e composto dell’enologo Giulio Ceschin, che, portando in campo gli anni di militanza nel vino, ha rilevato Cittavecchia assieme ad alcuni soci con l’obiettivo di realizzare birre dalla doppia anima – briosa come la birra ed elegante come il vino – che al contempo lascino inalterato il fascino d’antan che alberga nello stile Cittavecchia. Sono nate così Lipalait, la birra leggera, e Femme, una seducente saison.
Il laboratorio di produzione a Cittavecchia parte dalla sala cotta da 20 hl, ma in questi ultimi due anni ha subito ben due ampliamenti che lo hanno portato ad avere un nuovissimo impianto di imbottigliamento e una capacità produttiva dagli iniziali 80 hl agli attuali 300, per un potenziale di produzione di circa 2500/3000 ettolitri di birra all’anno.
Il mercato estero sta apprezzando molto le birre artigianali italiane e lo dimostrano le aperture che l’azienda ha avuto verso il mercato australiano e giapponese. In Italia il mercato di maggior sbocco di Cittavecchia è la ristorazione e le rivendite specializzate, dove prevale l’attenzione alla storia e alla cultura, oltre che al piacere dell’assaggio.
Nel progetto del nuovo team di Cittavecchia, il birrificio svilupperà la sua anima per diventare un vero e proprio “laboratorio di sperimentazione” dove realizzare nuove birre adatte al mercato in evoluzione e dove fidelizzare una “community” di consumatori ai quali offrire “esperienze” di gusto e cultura.

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